Cooperare, ossia “lavorare insieme per perseguire un obiettivo comune”. È dalla stessa definizione dell’attività che si deve necessariamente partire per valutare quanto emerso nel corso dell’assemblea nazionale dell’Alleanza cooperative agroalimentari tenutasi a Roma lo scorso 7 novembre e focalizzata sul tema “Il modello cooperativo, forza distintiva in agricoltura”.

Che la collaborazione sia un modello vincente è cosa nota all’uomo da quando i primi cacciatori del paleolitico scoprirono che, se invece del solito topo o coniglio volevi portarti a casa un mammut, era meglio andare a caccia in gruppo piuttosto che da soli.
Certo, quelli erano tempi duri e con il progredire dell'umanità al "proto-modello cooperativo" si sono spesso sostituiti modelli di carattere più marcatamente individualistico.

Eppure, fatte le debite proporzioni, le cose negli ultimi 200.000 anni non sono cambiate poi di molto se Maurizio Gardini, presidente dell’Alleanza ha potuto dichiarare nel suo intervento: "Se fino a qualche anno fa la cooperazione era per molti un modello obsoleto rispetto a forme d’impresa giudicate più moderne, oggi la crisi mette in luce la diversità del modello cooperativo come elemento di valore, poiché nei momenti di maggiore criticità, la cooperazione riesce ad esprimere le proprie potenzialità dimostrandosi una valida alternativa al modello economico tradizionale, basato sull’impresa di capitali e sul profitto".

I numeri del successo

L’Alleanza delle cooperative agroalimentari, costituita da Fedagri-Confcooperative, Lega coop agroalimentare e Agci Agrital, rappresenta un colosso economico da 34,2 miliardi di euro di fatturato, pari al 24% del valore della produzione agroalimentare italiana.
La struttura conta circa 5.100 cooperative agricole, con 720.000 soci produttori e 94.000 addetti, il 56%  dei quali assunti a tempo indeterminato.
Le materie prime provengono per l’86% dai soci conferenti e il 97% degli approvvigionamenti ha origine in Italia, con il 71% a livello locale e il 26% nazionale. Il restante 3% di origine straniera è riconducibile esclusivamente a produzioni non realizzabili sul suolo nazionale e utilizzata a completamento della gamma.
Se grazie al mammut del paleolitico tutti i cacciatori riuscivano a mangiare meglio e di più, ai cooperanti odierni vengono riconosciuti prezzi mediamente più alti rispetto a quelli di mercato, in ragione – giusto per fare qualche esempio – del 15-20% per le uve, del 18% per i formaggi Dop e del 2% per i bovini.

"A differenza di quanto avviene in altri tipi di imprese - ha spiegato Gardini - anche nella contingenza di una fase economica critica, le cooperative non hanno percorso strade diverse da quella della valorizzazione del territorio e delle produzioni locali, non hanno delocalizzato, ma hanno continuato ad investire sul territorio dove si realizzano le attività dei soci. La cooperazione agricola è riuscita a salvaguardare livelli occupazionali stabili. Ciò è stato fatto a volte penalizzando anche i conti economici delle nostre imprese, rinunciando ad approfittare della crisi per effettuare operazioni di “ristrutturazione selvaggia”.  
Sotto l’aspetto economico e in termini di capacità di remunerazione della materia prima conferita, i risultati testimoniano in moltissimi settori come le cooperative siano in grado di trasferire ai soci quote importanti di valore aggiunto che in altre situazioni contribuiscono alla formazione dell’utile di impresa.
Tutt’altro che trascurabile anche la presenza del 26% degli associati sui mercati esteri, con punte del 58% del totale per le cooperative vitivinicole, del 39% per quelle ortofrutticole e del 17% per quelle del settore lattiero-caseario. Una presenza che è valsa nel 2011 circa 4 miliardi di euro, pari all’11,7%  dell’intero fatturato cooperativo agroalimentare e con un incremento nell’ultimo bienni del 3,7%.




Maurizio Gardini, presidente dell'Alleanza cooperative agroalimentari
 

Una sola alleanza, una sola voce

Alleanza delle cooperative italiane è una realtà (relativamente) nuova di zecca. Nata ufficialmente a fine gennaio, l’Aci raduna le componenti più rappresentative della cooperazione italiana, Agci, ConfCooperative e Legacoop, si pone l’obiettivo generale di dare più forza alle imprese cooperative; un obiettivo che passa anche attraverso l’accresciuto potere di rappresentanza derivato dall’unione delle forze in campo.

Le richieste alla politica

Come nelle migliori tradizioni, l’assemblea è stata l’occasione per presentare al mondo politico una serie di richieste.
Revisione dell’art. 62, il cosiddetto decreto liberalizzazioni che presenta in fase applicativa alcune criticità. Per eliminarle Aci ha già chiesto al ministero e alle forze parlamentari di intervenire con gli opportuni aggiustamenti, promettendo tutta la propria collaborazione.
"Bisogna sottolineare – ha dichiarato Gardini – che quando si è parlato di una proroga per il decreto siamo stati i primi a rifiutarla, convinti che il rinvio di una norma di cui condividiamo l’impianto generale fosse più dannoso dei suoi difetti. Su questi difetti, però, ora bisogna intervenire con decisione".
Semplificazione burocratica - Aci chiede che si continui a premere l’acceleratore per semplificare la burocrazia. In particolare si chiede di estendere l’attuale regime di esonero dagli adempimenti Iva per gli imprenditori agricoli dal limite attuale di 7 mila euro a 30 mila.
Favorire processi di aggregazione e concentrazione - Viene richiesto che si introducano misure, anche di tipo fiscale, che favoriscano l’aggregazione e i processi di concentrazione tra agricoltori e tra cooperative, sull’esempio di quanto recentemente fatto dal governo spagnolo.




 
Roma, assemblea nazionale dell'Assemblea cooperativa agroalimentare


Le prime risposte

Le prime risposte sono arrivate dall’intervento del ministro delle politiche agricole, Mario Catania.
"Il periodo che stiamo affrontando – ha dichiarato il ministro - è importante per la nostra agricoltura. Ci troviamo alla vigilia di due riforme fondamentali per il futuro del settore e per il futuro della pesca. Possiamo dire che arriviamo a questi appuntamenti avendo fatto il massimo a tutti i livelli, con un impegno condiviso anche da parte del governo che ha istituito una squadra di consultazione permanente per affrontare la questione relativa al bilancio europeo 2014-2020".

Rimangono da risolvere, secondo il ministro, altre questioni, a partire da una promozione dell’internazionalizzazione dei prodotti nazionali in una visione d’insieme e non in un’ottica di contrapposizione rispetto al “km 0”, puntando sulla qualità.

"Per quanto riguarda invece la Politica agricola nazionale – ha proseguito Catania – l'Italia negli ultimi 20-30 anni è stata carente ed è per questo che fin dall’inizio del mio mandato ho deciso di intervenire per cercare di porre rimedio al ritardo accumulato. A questo proposito vorrei ringraziare il presidente Gardini anche per l’appoggio e l’apprezzamento per l’articolo 62, con il quale abbiamo voluto dare trasparenza ed equità all’interno dei rapporti della filiera.
Consapevoli del ruolo innovativo dell’articolo 62, proprio questa settimana abbiamo aperto anche un tavolo tecnico per affrontare insieme ai soggetti interessati l’impatto della norma sul comparto".


Escludendo improbabili accelerazioni di fine legislatura su uno o più dei temi sollevati da Gardini, la palla passa dunque alla politica che verrà e che, almeno sinora, si è dimostrata ben disposta verso i desiderata di Aci.
Il sospetto, tuttavia, è quello che, chiuse le elezioni, si riproponga l’ennesima replica dell’italianissimo spettacolo “passata la festa, gabbato lo santo”, con l’agricoltura che torna a ricoprire il ruolo della Cenerentola e con un modello cooperativo che, osannato a destra e a manca, dovrà continuare a trovare da solo la propria strada e le proprie soluzioni. 





Il ministro delle Politiche agricole, Mario Catania (Foto Alessandro Vespa ©)