L'agricoltura paga l'assenza di misure a sostegno del settore e finisce per perdere i "pezzi": sono quasi diciassettemila le imprese che hanno chiuso nel giro di un anno.

 

L'allarme viene dalla Cia, in occasione della pubblicazione dei dati Unioncamere sulla natività e la mortalità delle imprese italiane.
L'organizzazione punta il dito contro il "capitolo fiscale" che mette sotto pressione il mondo agricolo: non solo Imu e la "macchina farraginosa della burocrazia", ma anche la stretta creditizia e l'aumento dei costi di produzione, trascinati in alto dai rincari di gasolio e mangimi.

 

"Il sistema agroalimentare è fondamentale per il Paese, rappresentando oltre il 15% del Pil - rimarca la confederazione - Ecco perché nella prossima legislatura serve un impegno serio per il settore, da parte della politica, nel senso di una riduzione dei costi, di una semplificazione amministrativa e fiscale, di un miglioramento dell'accesso al credito, di contratti sicuri con i soggetti della filiera, soprattutto con la Gdo e di una spinta decisa verso l'aggregazione".


 

Confagricoltura: "Razionalizzare e riorganizzare"

 

Il segno di una sofferenza in cui si trovano ad operare tante imprese agricole che non trovano margini di redditività". Con queste parole Confagricoltura commenta i numeri negativi emersi dal rapporto di Unioncamere.

 

Non vorrei però che emergesse l’immagine di un’agricoltura che si arrende - dice Mario Guidi, presidente dell'organizzazione - Ci sono imprese agricole strutturate, moderne e competitive che hanno messo in atto, già da tempo, precise strategie per fronteggiare le criticità. Il dato è da leggere, dunque, come segnale di sofferenza ma al tempo stesso di razionalizzazione e riorganizzazione da parte di imprese del settore".

 

Guidi cita un recente sondaggio svolto con il Censis: Le imprese più evolute hanno adeguato gli impianti e le strutture produttive (75%), ridefinito le politiche di vendita (59%), riorganizzato le procedure di lavoro (57,3%), individuato nuove produzioni e colture (51,7%), ridefinito le funzioni di vertice (30,3%). Solo il 3,7% del campione intervistato non ha apportato alcun cambiamento.

 

E' chiaro allora che la trasformazione delle imprese ha una forte incidenza sul dato che riguarda la chiusura di molte di loro - conclude Mario Guidi - Molti ettari che queste chiusure libereranno resteranno ad attività agricole e c’è da interrogarsi sull’ordine di grandezza di questa trasformazione, potendo essa rivelarsi significativa in ottica di crescita e di rafforzamento per le aziende agricole esistenti”.


I dati di Unioncamere

"Sono 383.883 le imprese nate nel 2012 (il valore più basso degli ultimi otto anni e 7.427 in meno rispetto al 2011) - nota Unioncamere - a fronte delle quali 364.972, mille ogni giorno, sono quelle che hanno chiuso i battenti (24mila in più rispetto all'anno precedente)".

L'agricoltura paga un conto salato, con la chiusura di 16.791 aziende. Per fare un confronto, l’industria manifatturiera ne perde 6.515, le costruzioni 7.427; peggio del settore primario l'artigianato, con 20.319 imprese in meno.

Nonostante i numeri negativi, tuttavia, il bilancio anagrafico delle imprese italiane rimane in lieve attivo (+0,3% contro il +0,5 del 2011), grazie soprattutto a under 35, immigrati e donne, attività del turismo, del commercio e dei servizi alle imprese e alle persone.